SanPa e Osho: 2 serie TV per superare il concetto di giusto e sbagliato

superare il concetto di giusto e sbagliato

Superare il concetto di giusto e sbagliato può essere molto utile, per capire meglio la realtà, e la serie TV “SanPa“, realizzata da Netflix, può aiutarci a farlo, senza nulla togliere al gusto di vedere una serie molto ben realizzata. L’argomento si presta bene, perché parla di Vincenzo Muccioli – fondatore della comunità di San Patrignano – un personaggio ricco sia di luci che di ombre come pochi. L’altra serie di cui vi parlerò – anch’essa a mio parere bellissima – ha come protagonista il re dei personaggi controversi, Osho. In entrambi i casi, la storia viene raccontata in modo così equilibrato che è difficile prendere posizione. Questo è ottimo, non vi pare? Sia nel caso di Muccioli, come in quello di Osho, schierarsi dalla parte degli adoratori o da quella dei detrattori, non aiuterebbe a comprendere né i personaggi in questione, né il contesto, né le idee che hanno cercato di portare avanti nella loro vita. Non capiremmo neanche le ragioni di chi li ha considerati degli imbroglioni, non senza un qualche fondamento. Ma soprattutto, se ci schierassimo, impediremmo a noi stessi di capire cosa quelle esperienze ci possono insegnare.

SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano

SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano” è una docu-serie in 5 puntate, uscita su Netflix il 30 dicembre 2020. Grazie a un ampio numero di testimonianze di protagonisti diretti, e a un incredibile quantità di immagini d’archivio, la serie racconta la parabola di Vincenzo Muccioli, che ha fondato la comunità nel 1978 a Coriano, in provincia di Rimini. I titoli delle 5 puntate sintetizzano laconicamente l’andamento di tale parabola: “Nascita”, “Crescita”, “Fama”, “Declino” e “Caduta.

Quando San Patrignano fu fondata, l’eroina falcidiava i giovani e metteva in ginocchio migliaia e migliaia di famiglie, costrette a convivere con figli disperati, il cui unico pensiero era come procurarsi ogni giorno i molti soldi necessari a drogarsi. Le istituzioni non fornivano alcuna risposta valida al problema. In tale contesto, s’inserì l’intuizione di Muccioli: far vivere in comunità i ragazzi tossicodipendenti, considerati feccia della società, dando loro un ruolo, una dignità e soprattutto la speranza di potercela fare a liberarsi dalla “scimmia”. Il prezzo da pagare era rinunciare momentaneamente alla propria libertà. La comunità si reggeva sul suo forte carisma e si basava su regole e decisioni sempre e comunque stabilite da lui, oltre che sul finanziamento generoso di Gian Marco e Letizia Moratti. Muccioli usava metodi poco ortodossi, come l’incatenamento, per non far scappare i ragazzi dalla comunità. Con la crescita numerica e la nomina di quadri di comando intermedi, protetti da impunità nelle loro relazioni coi sottoposti, la situazione è degenerata in episodi giuridicamente rilevanti, come stupri e assassinii.

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Vincenzo Muccioli raggiunse una popolarità come pochi altri in Italia, ma divise anche molto l’opinione pubblica. Da una parte chi ne apprezzava i risultati, mettendo in secondo piano (o in qualche caso perfino ammirando) i metodi violenti e misogini. Dall’altra chi, pur apprezzando i risultati, considerava inaccettabile il suo porsi al di sopra della legge. Nella docu-serie Sanpa, sfilano molti testimoni diretti, che rappresentano tutta la gamma di posizioni, dagli apologeti ai critici acerrimi.

Il risultato che ne ho tratto, come spettatore, è stato di equilibrio. Sono rimasto con l’idea che San Patrignano sia stata una grande intuizione, che ha permesso a migliaia di giovani di salvarsi la vita. Ma anche con la conoscenza che lì si siano svolti fatti estremamente gravi, come violenze, stupri (che Muccioli stesso considerava accettabili), uccisioni, la cui impunità non si concilia con la nostra Costituzione democratica. Questo a mio parere è il grande merito di opere come Sanpa. Dare conto della complessità di certe vicende è sicuramente più utile che schierarsi da una parte o dall’altra, pro o contro San Patrignano. Abbiamo bisogno solo di capire quale insegnamento utile possiamo trarre da tale esperienza.

Rispetto a questo punto, consiglio di vedere un video, a mio parere pieno di saggezza, di Tlon, “Riflessioni su SanPa, docu-serie Netflix – Altruismo e Potere“. Nel video, tra le altre cose, si evidenza quanto certi comportamenti che oggi consideriamo deprecabili – come ad esempio l’autoritarismo di stampo patriarcale – a quel tempo fossero largamente condivisi, proprio per evidenziare la necessità di comprendere il contesto, prima di emettere un giudizio. I due fondatori di Tlon citano anche un’intervista di Selvaggia Lucarelli all’autore della serie, Gianluca Neri, nella quale si svela che Netflix impone delle rigide linee guida per i documentari, le quali impongono di riportare dichiarazioni di testimoni solo se ci sono almeno 3 prove che le confermano. Questo ha impedito agli autori di SanPa di citare alcuni aspetti molto compromettenti sui metodi di gestione della comunità, ma ha anche consentito di realizzare un prodotto la cui equanimità può essere messa in discussione solo dai partigiani più fanatici.

Wild Wild Country, la docuserie su Osho

L’altra docuserie Netflix utile per esercitarci nell’equanimità e nel non giudizio è Wild Wind Country, che narra le vicende di Bhagwan Shree Rajneesh, meglio noto come Osho. Il guru indiano conta tuttora molti convinti sostenitori, anche tra i lettori di questo sito, ma anche dei critici, a causa del suo stile di vita piuttosto contraddittorio, simboleggiato dal suo possesso di un gran numero di lussuose Rolls Royce. Io stesso fui criticato, anni fa, per il fatto di pubblicare suoi brani e mi sentii in obbligo di rispondere con un articolo ad hoc.

Più nello specifico, il documentario in 5 puntate racconta di quando, nel 1981, Osho decise di spostare le sue attività negli Stati Uniti. La sua comunità, basata su un sincretismo a dir poco originale, e dedita alla libertà nei costumi sessuali, piaceva sempre di meno agli ortodossi induisti, e in modo sempre più pericoloso. L’ashram, fino ad allora collocato a Pune, in India, fu trasferito, con tutti i suoi seguaci vestiti nella varie tonalità di rosso, in una sperduta landa desolata nella contea di Waco in Oregon. La nuova location era a ridosso di Antelope, una minuscola cittadina di semplici cittadini di provincia che si stabilivano lì per trascorrere in pace i propri anni di pensione.

Tra i residenti di Antelope e i bizzarri abitanti di Rajneeshpuram – la nuova città utopica fondata sull’area di un enorme ranch – le frizioni non tardarono a manifestarsi. I locali non potevano in alcun modo vedere di buon occhio l’atteggiamento “anti-cristiano” dei seguaci di Osho, soprattutto dal punto di vista dei comportamenti sessuali. Ne scaturirono dispetti, violenze e azioni legali, ai quali i nuovi ospiti, sempre più numericamente soverchianti, risposero in modo estremamente duro. Non voglio “spoilerare” più di tanto, ma certamente nel documentario – basato su una quantità sorprendente di filmati d’epoca – si vedono atteggiamenti che uno non si aspetterebbe dai seguaci di un guru che non fa altro che citare il Buddha, pur non proclamandosi buddhista.

In Wild Wild Country assistiamo a un vero e proprio scontro di civiltà, ben più radicale della contrapposizione generata da Muccioli e San Patrignano. Da una parte l’America profonda, ultra-conservatrice, dall’altra i fautori di un originale mix di Oriente e Occidente, che si vestivano in modo eccentrico e non si scandalizzavano se due uomini si baciavano in pubblico o di danzare selvaggiamente senza alcun vestito addosso.

Anche guardando questa serie è difficile schierarsi, a meno che non pensi di avere già la verità in tasca. Perché da un lato vedi quei poveracci che avevano risparmiato tutta l’esistenza sognando una tranquilla vita da pensionati nella loro casetta, e si sono visti imporre con prepotenza i costumi stravaganti di gente che, dal loro punto di vista, era priva di morale. Dall’altra sai che la comunità di Osho era impegnata in un autentico tentativo di rinnovamento spirituale e quei loro comportamenti trasgressivi oggi sono considerati normali, per lo meno nell’America urbana.

Questo non saper prendere parte è il nutrimento dell’equanimità ed è stimolato proprio dall’impostazione degli autori della serie, che evidentemente segue una linea che è propria di Netflix.

Superare il concetto di giusto e sbagliato

La visione delle due docu-serie che ho citato è gradevole, e la consiglio, ma è anche strumentale a coltivare l’equanimità, una qualità stupenda che ci fa vivere al meglio, perché ci permette di esprimere al massimo il nostro potenziale umano. Coltivare l’equanimità non è facile, perché dobbiamo liberarci di schemi molto radicati, che abbiamo appreso durante tutta la prima parte delle nostra vita, e poi di continuo confermati.

Il macigno più grande che grava sul nostro desiderio di liberazione è proprio il concetto di giusto e sbagliato. Se siamo intrappolati in questa visione “dualistica”, che consiste nel vedere le cose come giuste o sbagliate, tendiamo ad aggrapparci alle opinioni. Sia alle opinioni degli altri, sia alle nostre, ma non è poi così diverso. Tendiamo a schierarci, in un modo in fin dei conti simile a quello dei tifosi allo stadio. Quando ci si schiera, si rimane intrappolati in un visione parziale e soprattutto fissa, che scambiamo per verità.

Ma se ricerchiamo veramente la verità, dobbiamo metterci in un atteggiamento aperto, incline alla scoperta, allo svelarsi continuo del non conosciuto. È quello che facciamo ogni volta che ci sediamo a meditare. Se quando ci sediamo in meditazione ci schierassimo, o avessimo già un’idea di cosa in noi è giusto o sbagliato, come potremmo scoprire chi siamo veramente? Questo è il motivo per cui il grande maestro zen Shunryu Suzuki-Roshi ci invitava ad adottare una mente di principiante, quella di chi sa di non sapere. Un’altra grande maestra, Pema Chödrön, appartenente a una tradizione molto diversa rispetto allo zen, dice che la via di mezzo indicata dal Buddha consiste proprio nel non giudicare quel che si presenta alla mente.

Ed è dunque praticando, ancor più che guardando la TV, che possiamo provare a esplorare la realtà per quello che è veramente.

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Paolo Subioli

Ho scritto questo libro per condividere ciò che ho imparato nell’ambito della mia pratica quotidiana, grazie agli insegnamenti dei maestri, ma anche e soprattutto dell’esperienza diretta.

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Paolo Subioli

Insegno meditazione e tramite il mio blog Zen in the City propongo un’interpretazione originale delle pratiche di consapevolezza legata agli stili di vita contemporanei.

2 risposte

  1. Giovanna ha detto:

    Condivido pienamente quanto scrivi sulle due docu-serie che anche a me sono piaciute moltissimo e mi hanno dato il nutrimento dell’equanimitá, lasciandomi non in grado di prendere parte. Come scrivi tu.
    Ma al tempo stesso mi chiedo se per tutti sia gli spettatori così.
    La mente tende a trovare in ogni cosa ciò che già sa, confermando le proprie opinioni di partenza.
    Io ho notato che mi sono molto riconosciuta nel testimone intervistato in una camera d’albergo, quello magrissimo, le cui riflessioni erano quasi buddiste e poco giudicanti, che arriva a riconoscere la salvezza della sua vita anche nella grande sofferenza causatagli dai metodi di San Patrignano.
    Ma altri spettatori potrebbero riconoscersi in altri testimoni che erano invece più schierati da una parte o dall’altra: la donna si mostra molto arrabbiata; l’autista guardia del corpo emana da tutti i pori un senso di ingiustizia e non riconoscimento, del suo lavoro e dedizione personale, subiti da Muccioli.
    Quello che lavora nel campo delle tossicodipendenze dice chiaramente che i metodi di San Patrignano sono tutti sbagliati.
    Poi ci sono i ‘pro’. Ad esempio il conduttore televisivo, anche il medico, e altri completamente a favore.
    Insomma: forse l’impressione suscitata dalla serie dipende anche dalle preferenze personali di chi la guarda.
    E in questo onore ai registi per l’equilibrio della narrazione, di cui tu scrivi: tutti i testimoni intervistati sono molto credibili e sono portatori di una visione plausibile. Non giusta o sbagliata.

  2. Lia ha detto:

    Ho guardato tutta la serie in una serata.

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