
La tecnica della Meditazione Trascendentale è basata sulla recitazione di un mantra, come ci spiega Daniel Goleman in questo testo divulgativo, per consentire alla mente di giungere alla “diretta esperienza della beatitudine”.
La tecnica della Meditazione Trascendentale di Maharishi Mahesh Yogi rientra nella corrente principale delle pratiche jhana, anche se è spesso propagandata come unica. Come tutti gli yogin advaita, Maharishi vede che «la dualità è la causa fondamentale della sofferenza». La sua tecnica per trascendere la dualità comincia con la ripetizione di un mantra, una parola o suono sanscrito. Proprio come nel Visuddhimagga, in cui differenti oggetti di meditazione sono dati a persone di temperamento diverso, Maharishi sostiene che la selezione di un mantra appropriato per un particolare individuo è un fattore vitale nella Meditazione Trascendentale: ed esattamente come il Visuddhimagga dipinge livelli più raffinati di concentrazione come sempre più beati ed elevati, Maharishi descrive l’«incantesimo» crescente man mano che alla mente è concesso di seguire la sua tendenza naturale verso una «una zona di felicità maggiore» entrando negli strati più sottili di un pensiero — cioè, del mantra.
C’è una mistica sulla specificità del mantra di ogni persona, e i maestri ammoniscono i nuovi arrivati a non rivelarli mai ad alcuno, e nemmeno a pronunciarli ad alta voce. Ma poiché i meditatori sono talvolta poco propensi a imparare, a persone che rientrano in categorie generiche di età, educazione, e così via, viene dato lo stesso mantra. I mantra stessi non sono affatto speciali della Meditazione Trascendentale, ma provengono da fonti classiche sanscrite usate da molti induisti moderni. Come milioni di meditatori bhakti in India, il meditatore MT in una qualunque città occidentale può intonare silenziosamente «Shyam» (un nome del dio Krishna) o «Aing» (un suono sacro alla Madre Divina).
La convinzione che particolari suoni mantrici conferiscano certi vantaggi o siano adatti a tipi speciali di persone è assai diffusa nell’induismo. Gli antichi Saiva Upanishad, per esempio, contengono un discorso sulle cinquanta lettere dell’alfabeto sanscrito, considerate ognuna come un mantra in sé dotato di caratteristiche speciali. La lettera umkara (Ū) dona forza; la kumkara (kā) è un antidoto contro i veleni; la ghamkara (gha) conferisce prosperità; la phamkara (pha) garantisce poteri psichici.
Nella Meditazione Trascendentale, i meditatori imparano a evitare una concentrazione che richieda troppo sforzo. All’aspirante meditatore viene insegnato a riportare gentilmente la menge al mantra quando se ne è allontanata. In realtà, si tratta di uno dei processi per concentrarsi, benché la concentrazione sia passiva piuttosto che forzata. La seguente descrizione, spesso citata, di Maharishi della natura della Meditazione Trascendentale rivela chiaramente il raccoglimento dell’attenzione sull’oggetto di meditazione, e la trascendenza dell’oggetto, nell’ascendere attraverso la concentrazione di accesso al secondo jhana. La Meditazione Trascendentale, dice Maharishi, implica «che si rivolga l’attenzione dentro di sé, verso livelli più sottili del pensiero, fino a che la mente trascende l’esperienza dello stato più sottile del pensiero e arriva alla fonte del pensiero».
Come negli jhana, la beatitudine sorge con la pacificazione della mente. Lo scopo del mantra è quello che Maharishi chiama «coscienza trascendentale»: quando la mente «arriva alla diretta esperienza della beatitudine, perde ogni contatto con l’esterno ed è soddisfatta dello stato di coscienza/beatitudine trascendentale». Nel linguaggio del Visuddhimagga, questa è la concentrazione di accesso o jhana. La fase successiva nel programma di Maharishi è l’infusione dello jhana, o coscienza trascendentale, negli stati di veglia, di sogni e di sonno, ottenuta alternando l’attività normale con periodi di meditazione. Lo stato così raggiunto è da lui chiamato «coscienza cosmica», nella quale «nessuna attività, per quanto rigorosa, può portare fuori dall’Essere». Maharishi nega che ci sia bisogno di imporsi la rinuncia. Egli vede la purificazione come parte della coscienza cosmica, come effetto, non prerequisito, della trascendenza: «Il successo nelle virtù può essere ottenuto solo con l’esperienza ripetuta del samadhi».
Da: Daniel Goleman, “La forza della meditazione“, BUR, 2003.
La forza della meditazione

Meditazione trascendentale. Maharishi Mahesh Yogi e la scienza dell’intelligenza creativa

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