
Il Vuoto Zen, per Alan Watts, è un modo di rappresentare la mente quale spazio che può contenere ogni cosa senza essere nulla in particolare, come uno specchio che riflette solamente la realtà.
Nell’iconografia buddhista spesso il vuoto è simboleggiato da uno specchio. Uno specchio non ha colore, si limita a riflettere tutti i colori che appaiono su di esso. Anche Hui Neng ha detto che il vuoto somigliava allo spazio. Lo spazio contiene tutto (montagne, oceani, stelle, persone buone, persone cattive, piante, animali, tutto). E anche la mente è così. Lo spazio è la vostra mente. Per noi è difficile accorgercene perché pensiamo di essere nello spazio e di rivolgere lo sguardo verso lo spazio. Tutto lo spazio, tutti i tipi di spazio, sia esso visivo, dimensionale, auditivo, temporale, musicale, tangibile, sono la mente. Sono dimensioni della coscienza. E perciò il grande spazio, che ognuno di noi comprende in modo leggermente diverso, nel quale si muove l’universo, è la mente. Perciò la mente viene rappresentata come uno specchio, poiché lo specchio, pur non avendo colore di per sé, è in grado di ricevere tutti i colori. Meister Eckhart, mistico cristiano del XIII secolo, ha affermato: «Se il mio occhio deve vedere il colore, deve essere libero da ogni colore». Allo stesso modo, per vedere, udire, pensare e sentire, si deve avere la mente vuota. Il motivo per cui non siete consapevoli dei vostri neuroni è che essi sono vuoti, ed è per questo che siete in grado di fare delle esperienze.
Dunque, questo è il principio fondamentale del Mahāyāna. Quando i monaci buddhisti induisti si recarono in Cina e i Cinesi li osservavano mentre cercavano di meditare perfettamente immobili e di non lasciarsi coinvolgere dalle attività mondane (erano monaci celibi), li ritennero pazzi. Perché agivano così? I Cinesi erano molto pratici, perciò riformarono il buddhismo e permisero ai preti buddhisti di sposarsi. E la loro storia preferita proveniente dall’India parlava di un laico, il ricco mercante Vimalakirti, che riusciva sempre ad avere la meglio a parole su qualunque altro discepolo del Buddha. Vinse perfino un dibattito contro Manjushri, il Bodhisattva della saggezza. Parteciparono tutti a una gara per definire il vuoto, nella quale i monaci formularono Ie loro definizioni e Manjushri fornì la sua; poi venne il turno di Vimalakirti. Ebbene, il mercante non disse nulla. E fu cosi che vinse la gara. Il tuono del silenzio.
Da: Alan Watts, “Lo zen e l’arte di imbrogliare la mente“, Macro Edizioni, 2019.
Il Vuoto Zen
Che cos’è il Vuoto Zen? Possiamo intendere il Vuoto Zen come il modo Zen di intendere la Vacuità buddhista. Nel Buddhismo la Vacuità è un tema centrale, per almeno due motivi. Il primo è che essa è strettamente connessa alla dottrina della originazione interdipendente: siccome ogni fenomeno dipende totalmente dall’esistenza di tanti altri fenomeni indipendenti, esso non può esistere in quanto tale, non ha un’esistenza separata e dunque un sé. Tale principio si applica anche agli esseri umani.
La Vacuità, così come il Vuoto Zen, è importante anche perché riguarda la stessa natura umana. L’evoluzione ci ha dotato di un senso dl sé per consentirci di tutelare la nostra sopravvivenza, e perciò siamo convinti che ci sia un sé separato e indipendente che governa la nostra esistenza e le nostre azioni. Il Buddha ha però insegnato che siamo fatti di 5 aggregati – la materia, le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza – al di fuori dei quali non c’è altro. Dunque non c’è alcun “regista” o “comandante” che mantiene il controllo, perché ogni nostra manifestazione è un fenomeno condizionato e dunque impersonale.
Il Vuoto Zen aggiunge al concetto di Vacuità un tono particolare: ponendo l’accento sulla dimensone del Vuoto, sottolinea la necessità di togliere, semplificare, andare all’essenzialità delle cose. È un messaggio particolarmente attuale nel mondo di oggi, opulento e al tempo stesso privo di speranza.
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