
Sadhana è un concetto molto importante nelle tradizioni induiste. Eric Baret ce ne spiega il significato alla luce dello yoga tantrico: la vita non consiste nel fare, acquisire o ottenere qualsiasi cosa.
Un dialogo sul significato di Sadhana
Dopo aver fatto l’esperienza di un certo silenzio, l’essere umano vorrebbe rimanere stabilito nello stato di lucidità, ma osserva che ciò non accade. Ecco perché si mette a legge le Scritture e ad incontrare dei grandi saggi. Può darsi che studi per anni con un grande guru, che mediti, che pratichi il pranayama, lo yoga, che modifichi la sua alimentazione, le sue abitudini, in breve, che intraprenda quella che si chiama una “sadhana”… Ma la mia esperienza e quella dei miei amici mostrano chiaramente che, malgrado tutto questo, si arriva presto ad un punto di saturazione e si ha l’impressione di stagnare per anni, se non decenni. Come se la sete non fosse stata estinta. Forse è stato trascurato qualcosa di essenziale. Lo si può chiamare la grazia? E cosa è allora la grazia? Da dove viene? Come si muove?
Ciò di cui possiamo parlare, ciò che possiamo comprendere, ciò che proviene da qualche posto, non possiamo chiamarla grazia. La grazia, secondo l’approccio tradizionale, non riposa su alcuna situazione oggettiva. Viene da se stessa, tramite se stessa. Non può provenire da alcuna parte, salvo dal cuore. Non proviene da alcuna attività e non può essere compresa dal mentale umano limitato. Non se ne può dire niente, a parte questo.
Per tornare all’inizio della domanda, lei ha fatto giustamente osservare che prima c’è l’intuizione e poi la sadhana. L’intuizione non consiste nel vedere la nostra vera natura, cosa impossibile dal momento che non si tratta di qualcosa di cui si possa mai fare l’esperienza; è l’intuizione di quello che non siamo.
Vediamo i nostri meccanismi, la nostra arroganza, le nostre paure, i nostri limiti senza alcun dinamismo per cambiare nulla. Far fronte a questo fatto è un atto di umiltà. Constatare il fatto — ciò che non siamo — è quello che in Oriente si chiama l’intuizione di ciò che siamo.
Deve essere vissuto chiaramente, perché la maggior parte delle persone coltivano la fantasia di pensare o di visualizzare l’intuizione di ciò che sono piuttosto che di quello che non sono.
La sadhana non ha mai avuto per ragione l’essere, almeno per quel che riguarda la tradizione shivaita del Kashmir, di riportarvi da qualche parte, perché ciò che è apparso senza causa, senza sadhana, non può ritornare per via di una causa.
L’intuizione primaria è apparsa senza sollecitazione e dunque nulla può farla ritornare. È la vita che decide di questo processo.
La tradizione del Kashmir vede nella sadhana una espressione di questa intuizione. Altrimenti è yoga nel senso dinamico, che è al centro di un pensiero stupido, di una fantasia democratica, secondo cui il meno può raggiungere il più.
La sadhana è l’arte di esprimere il più nel meno, sul piano del corpo e del mentale. È per questo che l’Oriente considera ogni arte come una sadhana: la danza, la poesia, l’arte della guerra, l’arte dell’amore. In India, la musica è una sadhana per il musicista. Per un servo, l’attività di servire è una sadhana; per una vedova, lo è la vita solitaria.
Tutte le modalità della vita possono essere considerate come una sadhana, come una convinzione che la vita non consiste nel fare, acquisire o ottenere qualsiasi cosa.
Quel che è sopraggiunto attraverso la grazia non può che tornare attraverso di essa.
C’è stato un momento di disponibilità e l’evidenza è apparsa.
Ma la yoga sadhana non può mai riportarvici. Il risveglio dell’energia e tutti questi piccoli fenomeni sono espressioni della coscienza a livello del corpo e del mentale.
Il piano fenomenale non può raggiungere la coscienza, ma può essere da essa illuminato. Voi realizzate che il vostro corpo e il vostro mentale non vivono all’altezza della vostra comprensione e delle vostre convinzioni. Realizzate fino a quale punto l’aggressività, la paura e il desiderio riempiono di strategie la struttura del corpo e del mentale. Allora, permettete coscientemente al vostro corpo-mentc di riflettere questa intuizione, che significa apertura, scoperta dello spazio interiore.
Ancora una volta, l’aspetto tecnico non serve a creare questa apertura è impossibile; questa sarebbe la via progressiva. Si tratta di realizzare che non siamo aperti. Sentite fino a che punto il vostro corpo è teso e tacete; in questo silenzio, le tensioni del corpo si rivelano e si riferiscono al silenzio. Vi rendete conto di quanto il vostro mentale viva in una situazione volitiva, di quanto viva nelle paure e nelle strategie; siete senza commenti, tacete. Nessuno vi chiede di amare o non amare tutto questo, né di pensare che dovreste essere differente. Voi vivete col fatto: io vivo nell’arroganza, nella pretesa, tutto questo ha il suo spazio in me, chiaramente. Non cerco di essere differente domani. Vivo con i miei limiti. Nell’istante stesso, quando ci si è aperti con chiarezza al fatto, la limitazione lentamente si dissolve nell’apertura.
Non ci si può deliberatamente dirigere verso uno stato di apertura: non si può che constatare che questo stato è bloccato.
Dunque permettete al vostro corpo-mente di diventare più aperto alla convinzione che non potete raggiungere nulla e che morirete idioti. Può darsi che moriate l’istante seguente, e allora non avrete il tempo di raggiungere o di compiere alcunché.
Nella sadhana, vivete con la sensazione che morirete nel minuto seguente.
Non c’è allora alcuna strategia; l’attività è svolta per la gioia stessa.
Se vi si annuncia che morirete fra due minuti, che cosa fate? Non fate niente. Non chiamate nessuno, non pensate a niente, non fate che gioire della visione, della sensazione, dell’odorato, dell’udito. È l’ultimo istante della vostra vita: siete nella bellezza. E con questo spirito che si compie la sadhana. Vi sedete per la gioia di sedervi, praticate yoga per la gioia di praticarlo, cantate per la gioia di cantare.
Non c’è tempo, la vita è troppo bella e passa troppo in fretta perché ci sia il tempo di compiere qualcosa. La più piccola intenzione — come quella di fare yoga per stare meglio domani non funzionerà; morirete prima di stare meglio.
Non possiamo fare che adesso.
Andate al satsang perché questo vi fa vibrare adesso. Vi date allo yoga perché la grazie vi tocca. Praticate il tiro con l’arco, oppure cantate. . . ma mai con l’idea che potete raggiungere una qualunque cosa. Tutto è fatto per la sua intrinseca bellezza.
La vostra vita diventa la vostra sadhana, Non c’è niente nelle situazioni: esse possiedono la loro bellezza quando noi non chiediamo loro altro che quello che sono. Vivete allora in modo funzionale, senza scopo, senza intenzione.
È il messaggio della Gîtâ, quando Krishna chiede ad Arjuna di fare il suo dovere e di tralasciare le sue preferenze e le sue avversioni. Combattere contro i propri maestri e i propri parenti sul campo di battaglia di Kurukshetra non ha alcun significato particolare. Arjuna lo fa perché deve essere fatto. Nessun futuro, nessuna intenzione: agisce in modo funzionale, semplicemente.
Questa è la sadhana, dal punto di vista tradizionale.
Da: Eric Baret, “L’unico desiderio. Nella nudità dei tantra“, Edizioni La Parola, 2010.
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