
Il concetto di Anattā, o Non Sé, è uno degli insegnamenti più rivoluzionari introdotti dal Buddha, che era consapevole anche della difficoltà di capirlo. Ce lo spiega in modo molto chiaro lo studioso Walpola Rahula.
Anattā, la dottrina del Non Sé
Generalmente, le parole Anima, Sé, Ego o il termine sanscrito ātman suggeriscono l’idea che esista nell’uomo un’entità permanente, eterna e assoluta, una sostanza immutabile dietro il mondo fenomenico in perpetuo mutamento. Secondo alcune religioni, ogni individuo ha in sé un’anima separata di questo tipo, creata da Dio e che, alla fine, dopo la morte, vivrà eternamente all’inferno o in paradiso, in base a un giudizio pronunciato dal suo creatore. Secondo altri, quest’anima passa di vita in vita, finché non è completamente purificata e alla fine si unisce a Dio o al Brahman, all’Anima universale o ātman, da cui in origine era stata emanata. Quest’anima o sé nell’uomo è ciò che pensa i pensieri, che sente le sensazioni e che riceve ricompense o punizioni per le azioni buone o cattive. Una tale concezione è chiamata l’idea del sé.
Il buddhismo, unico nella storia del pensiero umano, nega l’esistenza di una tale anima, sé o ātman. Secondo l’insegnamento del Buddha, l’idea del sé è una credenza falsa e immaginaria, che non ha corrispondenza nella realtà ed è la causa dei pensieri nocivi dell’« io» e del « mio », dei desideri egoisti e insaziabili, dell’attaccamento, dell’odio, della malizia, della vanità, dell’orgoglio, dell’egoismo e di altre contaminazioni e impurità. E la fonte di tutti i tormenti del mondo, dai conflitti personali fino alle guerre tra le nazioni. In breve, si può far risalire a questa falsa nozione tutto il male che c’è nel mondo.
Due idee sono radicate profondamente nella psiche dell’uomo: l’autoprotezione e l’autoconservazione. Per la sua autoprotezione l’uomo ha creato Dio, dal quale dipende per essere protetto, rassicurato e salvaguardato, come un bambino dipende dai suoi genitori. Per la sua autoconservazione l’uomo ha concepito l’idea di un’anima immortale o ātman, che vivrà eternamente. Nella sua ignoranza, nella sua debolezza, nella sua paura, nel suo desiderio, l’uomo ha bisogno di queste due cose per consolarsi. Ecco perché vi si attacca profondamente e fanaticamente.
L’insegnamento del Buddha non incoraggia questa ignoranza, questa debolezza, questa paura e questo desiderio, ma mira anzi a far conseguire all’uomo l’illuminazione, rimuovendo e distruggendo questi prodotti mentali, estirpandoli alla radice. Secondo il buddhismo, le nostre idee di Dio e di anima sono false e vuote. Benché siano teorie altamente sviluppate, esse non sono che proiezioni mentali estremamente sottili, rivestite di una complessa fraseologia filosofica e metafisica. Queste idee sono così profondamente radicate nell’uomo, così vicine, così care, che egli non desidera né sentire né comprendere alcun insegnamento contrario.
Il Buddha lo sapeva bene e disse testualmente che il suo insegnamento era « controcorrente » (paṭisotagāmi), contro i desideri egoistici dell’uomo. Solo quattro settimane dopo la sua illuminazione, seduto sotto un albero di baniano, pensò tra sé e sé: « Io ho realizzato questa Verità, che è profonda, difficile a vedersi, difficile a comprendersi … comprensibile solo dai saggi … Gli uomini, che sono sopraffatti dalle passioni e circondati da una fitta oscurità, non possono vedere questa Verità, che è controcorrente, che è sublime, profonda, sottile e difficile a comprendersi ».
Con questi pensieri nella mente, il Buddha per un momento esitò, chiedendosi se sarebbe stato vano tentare di esporre al mondo la Verità che aveva appena realizzato. Allora paragonò il mondo a uno stagno di fiori di loto: in uno stagno ci sono loti che sono ancora sott’acqua, altri che arrivano appena al livello dell’acqua, e altri ancora che sono al di sopra dell’acqua e non ne sono bagnati. Allo stesso modo, nel mondo gli uomini si trovano a diversi livelli di sviluppo. Qualcuno di essi avrebbe potuto comprendere la Verità. Il Buddha decise dunque di insegnarla.
La dottrina dell’anattā o del non-sé è il risultato naturale, o il corollario, dell’analisi dei Cinque aggregati e dell’insegnamento della Genesi condizionata o originazione interdipendente (paṭicca-samuppāda) .
Abbiamo già visto, nella discussione sulla Prima nobile verità (dukkha) , che ciò che noi chiamiamo un essere o un individuo si compone di Cinque aggregati e, dopo averli elencati ed esaminati, abbiamo concluso che non esiste nulla dietro di essi che possa essere considerato un io, un ātman, un sé o una qualunque sostanza immutabile e permanente. Quello è il metodo analitico. Allo stesso risultato si arriva attraverso la dottrina della Genesi condizionata, che è il metodo sintetico secondo il quale niente nel mondo è assoluto. Ogni cosa è condizionata, relativa e interdipendente. Questa è la teoria buddhista della relatività.
Da: Walpola Rahula, “L’insegnamento del Buddha“, Adelphi, 2019.
Come Anattā vene spiegato nei Sutra buddhisti
Il concetto di Anattā, o non sé, viene esposto in diversi testi buddhisti, tra cui il Dhammapada. Ma la sua esposizione più completa è contenuta nel Anattalakkhana Sutta. Tale testo presenta il concetto di Anattā come una delle quattro nobili verità. Esso afferma che la comprensione di Anattā è essenziale per raggiungere la liberazione spirituale.
In questo sutra, il Buddha insegna che tutte le cose, compreso il corpo e la mente, sono prive di un’essenza permanente o sé permanente. In altre parole, non esiste un’anima immortale o un sé che persiste attraverso il tempo e lo spazio. Invece, ogni cosa è composta da una serie di eventi che si susseguono nel tempo e che non possono essere identificati come un’entità permanente o unitaria. Questa comprensione aiuta a liberarsi dalla sofferenza e dalla ignoranza, che sono le radici della vita ciclica.
L'”Anattalakkhana Sutta” offre una visione profonda della natura transitoria della realtà e aiuta a comprendere che tutte le cose sono soggette al cambiamento e alla decadenza, e che la pace e la felicità possono essere raggiunte solo attraverso la rinuncia e la liberazione dall’attaccamento.
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