
Pratichiamo per liberarci da un fardello – il fardello di una prospettiva ridotta causata dal desiderio, dall’aggressività, dall’ignoranza e dalla paura. Il fardello sono le persone con cui viviamo, le situazioni che si verificano tutti i giorni e, più di tutto, la nostra personalità.
Attraverso la pratica ci rendiamo conto che non bisogna offuscare la gioia e l’apertura presenti in ogni momento dell’esistenza. Possiamo risvegliarci alla bontà di base, che è nostro diritto di nascita. Quando ci riusciamo, non ci sentiamo più gravati da depressione, preoccupazioni o rancore. La vita diventa uno spazio vasto, come il cielo e il mare. C’è posto per rilassarsi e respirare e nuotare, nuotare così al largo da non vedere più la spiaggia.
Come la mettiamo con quella sensazione di peso che ci portiamo dietro? Come impariamo a relazionarci con quel che sembra interporsi tra noi e la felicità che meritiamo? Come impariamo a rilassarci e a collegarci con la gioia di fondo?
I tempi sono difficili a livello globale; il risveglio non è più un lusso o un ideale. Sta diventando cruciale. Non c’è bisogno di aggiungere ulteriore depressione, ulteriore scoraggiamento, o ulteriore rabbia a quel che c’è già. Sta diventando essenziale imparare a relazionarsi in modo equilibrato con i tempi difficili. Sembra che la terra ci stia supplicando di connetterci con la gioia e di scoprire la nostra essenza più intima. Questo è il modo migliore per fare del bene agli altri.
Esistono tre metodi tradizionali per relazionarsi direttamente con circostanze difficili, intesi come via di risveglio e di gioia.
- Il primo metodo lo chiameremo non più lotta;
- il secondo, usare il veleno come medicina;
- il terzo, vedere tutto quel che si presenta come saggezza illuminata.
Sono tre tecniche per lavorare con il caos, le difficoltà e gli eventi indesiderati nella vita di tutti i giorni.
Primo metodo: non più lotta
Il primo metodo, non più lotta, è riassunto dalle istruzioni shamatha-vipashyana. Quando ci sediamo a meditare, guardiamo in faccia tutto quello che si presenta alla mente, lo chiamiamo “pensiero” e ritorniamo alla semplicità e all’immediatezza del respiro. Ripetutamente, torniamo alla primitiva consapevolezza libera dai concetti. La pratica della meditazione è il modo per smettere di combattere contro di noi, il modo per smettere di lottare con circostanze, emozioni, stati d’animo. Queste istruzioni di base sono uno strumento che possiamo usare per esercitarci nella pratica e nella vita. Qualsiasi cosa si presenti alla mente, possiamo guardarla in faccia con un atteggiamento non giudicante.
Questi insegnamenti si applicano quando si lavora con la sgradevolezza nelle sue mille forme. Qualsiasi cosa o qualsiasi persona si presenti, esercitatevi ripetutamente a guardarla in faccia e a vederla per quel che è senza insultarla, senza scagliare pietre, senza distogliere gli occhi. Lasciate andar via tutte quelle storie. L’intima essenza della mente non ha pregiudizi. Le cose si presentano e scompaiono in continuazione. Così è.
Questo è il metodo principale per lavorare con le situazioni dolorose – dolore globale, dolore domestico, dolore in generale. Possiamo smettere di lottare con quel che si presenta e guardarlo in faccia senza considerarlo il nemico. Aiuta a ricordare che la pratica non sta nel portare a termine qualsiasi cosa – non sta nel vincere o nel perdere – ma nello smettere di lottare e nel rilassarsi per quel che c’è. Questo è ciò che facciamo quando ci sediamo a meditare. Quell’atteggiamento permea il resto della nostra vita.
Secondo metodo: usare il veleno come medicina
Il secondo metodo per lavorare con il caos è quello di usare il veleno come medicina. Possiamo usare situazioni difficili – il veleno – come carburante per svegliarci. In generale, questa idea viene introdotta con il tonglen.
Quando sorgono delle difficoltà – un conflitto di qualsiasi genere, anche solo l’idea di sentirsi indegni, qualcosa anche soltanto in apparenza spiacevole, imbarazzante, doloroso – invece di cercare di sbarazzarcene, la inspiriamo. I tre veleni sono la passione (che comprende la bramosia e la dipendenza), l’aggressività e l’ignoranza (che comprende il rifiuto o la tendenza a chiudersi e a escludere). Di solito tendiamo a pensare che questi veleni siano qualcosa di cattivo, da evitare. Ma non è l’atteggiamento da tenere in questo caso; al contrario, essi diventano semi di compassione e di apertura. Quando si presenta la sofferenza, le istruzioni del tonglen sono di lasciare che si sviluppi la sua trama e di inspirarla – non solo la rabbia, il risentimento o la solitudine che potremmo provare, ma lo stesso dolore degli altri che proprio in questo momento stanno, come noi, provando rabbia, amarezza e isolamento.
Noi inspiriamo per tutti. Questo veleno non è solo la nostra sfortuna, la nostra colpa, la nostra imperfezione, la nostra vergogna – fa parte della condizione umana. È la nostra vicinanza con tutte le cose viventi, il materiale che ci serve per capire com’è mettersi nei panni degli altri. Anziché spingerlo via o scappare lontano, inspiriamo e ci connettiamo pienamente con esso. Lo facciamo con il desiderio che tutti noi si possa essere liberi dalla sofferenza. Poi espiriamo, mandando fuori una sensazione di grande spazio, di ossigenazione o di freschezza. Lo facciamo con il desiderio che tutti noi ci si possa rilassare e provare l’intima essenza della mente.
Fin da bambini ci dicono che c’è qualcosa di sbagliato in noi, nel mondo, in tutto quel che capita: non è perfetto, non è ben rifinito, ha un sapore amaro, è troppo rumoroso, troppo morbido, troppo rigido, troppo insulso. Sviluppiamo un modo di fare che ci spinge a rendere le cose migliori perché qui c’è qualcosa di brutto, qui c’è qualcosa di sbagliato, qui c’è un problema. Il senso di questi metodi è dissolvere la lotta dualistica, la nostra abituale tendenza a lottare contro quel che sta succedendo a noi o dentro di noi. Questi metodi ci insegnano ad andare incontro alle difficoltà piuttosto che a tirarci indietro. Un incoraggiamento del genere non arriva molto spesso.
Tutto quel che capita non solo si può utilizzare e ci si può lavorare sopra, ma di fatto costituisce la via stessa. Possiamo usare tutto quel che succede per svegliarci.
Terso metodo: vedere tutto quel che si presenta come saggezza illuminata
Il terzo metodo per lavorare con il caos è vedere tutto quel che si presenta come la manifestazione di energia risvegliata. Possiamo pensare di essere già risvegliati; possiamo pensare che il nostro mondo sia già consacrato. Tradizionalmente, l’immagine che si usa per considerare tutto quel che si presenta come la vera energia di saggezza è l’ossario.
In Tibet, gli ossari erano quelli che noi chiamiamo cimiteri, ma non erano altrettanto piacevoli. I corpi non riposavano sotto un bel praticello decorato con piccole lastre di pietra bianca ornate da figure di angeli e belle parole. In Tibet il terreno era gelato, i corpi erano tagliati a pezzi dopo la morte e depositati per terra, negli ossari, per essere mangiati dagli avvoltoi. Questi ossari non emanavano un buon odore ed erano spaventosi a vedersi. C’erano bulbi oculari, capelli, ossa e altre parti del corpo sparsi ovunque. In un libro sul Tibet ho visto una foto che ritraeva delle persone mentre portavano un corpo all’ossario. Ad attenderli c’erano gli avvoltoi seduti in circolo, sembravano grandi quanto un bambino di due anni – erano lì ad aspettare che arrivasse il cadavere.
Forse il luogo che più si avvicina a un ossario nel nostro mondo occidentale non è un cimitero ma il pronto soccorso di un ospedale. Potrebbe essere l’immagine da cui partire per lavorare, che è radicata in una certa onestà sul funzionamento del regno degli uomini. Puzza, sanguina, è pieno di imprevisti, ma allo stesso tempo è saggezza che si irradia da sola, è buon cibo, che ci nutre, che è benefico e puro.
Considerare quel che si presenta come energia risvegliata ribalta il nostro modello fondamentale e abituale che ci fa cercare di evitare i conflitti, di renderci migliori di quel che siamo, di appianare le cose e di abbellirle, di dimostrare che il dolore è un errore e che nella vita non esisterebbe, se solo facessimo tutto giusto. Questa ottica ribalta completamente quello schema particolare e ci incoraggia a interessarci a guardare nell’ossario della nostra vita come punto di partenza su cui lavorare per ottenere l’illuminazione.
In termini di esperienza quotidiana, questi metodi ci incoraggiano a non sentirci imbarazzati di noi stessi. Non ce n’è motivo. È come la cucina etnica. Dovremmo essere orgogliosi di servire le nostre palline di matzah, una ricetta ebraica, il nostro curry indiano, i nostri chitlin afroamericani, i nostri americanissimi hamburger con patatine fritte. C’è un sacco di roba saporita di cui potremmo essere orgogliosi, il caos fa parte del nostro habitat. Anziché cercare qualcosa di più elevato o più puro, lavorate con quel che avete così com’è.
Da: Pema Chödrön, “Se il mondo ti crolla addosso. Consigli dal cuore per i tempi difficili“, Feltrinelli, 2017.
Se il mondo ti crolla addosso. Consigli dal cuore per i tempi difficili

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