
L’impegno a intraprendere il cammino del risveglio è di scarso valore se manchiamo della fiducia nella nostra capacità di realizzarlo. Potremmo allora consolarci con l’idea che, in un qualche indeterminato futuro, l’illuminazione ci si paleserà, ricompensandoci per avervi creduto abbastanza a lungo. Ma questo equivarrebbe a una fittizia adesione alla mera lettera del nostro proposito, che ne svuoterebbe di fatto la sostanza: significherebbe sostituire uno scopo concretamente apprezzabile con un’entità dotata di un’esistenza illusoria, metafisica. La nostra esigenza di rassicurazione potrebbe rivelarsi più radicata di quanto non ci piaccia ammettere, poiché ci consente di sentirci a nostro agio con noi stessi senza dover fare troppa fatica. Ma possiamo forse permetterci il lusso della consolazione in un mondo in cui la morte è la sola certezza, il suo momento è assolutamente incerto, e il futuro è soltanto un’ipotesi?
L’impegno nella pratica del dharma ci mantiene vigili, rispetto a quest’eventualità. Siamo così in grado di constatare quando il nostro proposito si allenta in una compiaciuta routine, e di osservare come tentiamo allora di giustificare noi stessi cercando l’approvazione altrui. Possiamo renderci conto della nostra tendenza a ignorare o a evitare il dolore, piuttosto di comprenderlo e di accettarlo. E possiamo, ancora, renderci conto che, anche quando acquistiamo una notevole perspicacia in merito, raramente ne consegue poi un nostro diverso comportamento. Nonostante il proposito da noi manifestato, continuiamo ad essere creature dell’abitudine.
La nostra risoluzione è attivata dalla fiducia in noi stessi, che a sua volta dipende da che genere di immagine di noi stessi abbiamo. Se ci rappresentiamo come esseri insignificanti, che stanno sempre all’ombra degli altri, allora ci abbatteremo alla minima difficoltà, e ci faremo quindi guidare da coloro che sostengono che il risveglio è una meta remota, accessibile soltanto a pochi privilegiati. Se, al contrario, ci concepiamo come superiori agli altri, allora mentre in pubblico ostenteremo il nostro disprezzo per le eventuali difficoltà, nel nostro intimo saremo tormentati dal nostro senso di umiliazione quando ne saremo soverchiati. In tal caso, eviteremo l’amicizia di coloro che potrebbero aiutarci a dissipare la presunzione che ci intrappola in un ennesimo ciclo di angoscia,
La fiducia in noi stessi non è una forma di arroganza. È fiducia nella nostra capacità di risveglio; è il coraggio di fronteggiare qualsiasi circostanza la vita ci presenti senza perdere la serenità, e, insieme, l’umiltà di considerare ogni situazione in cui ci imbattiamo come un occasione da cui possiamo trarre Insegnamento.
Da: Stephen Batchelor, “Buddhismo senza fede“, Neri Pozza, 1998.
Per approfondire:
Stephen Batchelor – Testi scelti in italiano e libri
Libri di Stephen Batchelor
Se li acquisti da questi link, contribuirai alle spese di Zen in the City.
Vuoi ricevere gli aggiornamenti da Zen in the City?
Inserisci il tuo indirizzo per ricevere aggiornamenti (non più di 1 a settimana):
You need to login or register to bookmark/favorite this content.