Il tipo di giardino che si accompagna allo stile zen e al cha-no-yu non è, naturalmente, uno di quegli ornati paesaggi da imitazione con gru di bronzo e pagode in miniatura. L’intento dei migliori giardini giapponesi non è di rendere un’illusione realistica di paesaggio, ma semplicemente di suggerire l’atmosfera di “montagna e acqua” in un piccolo spazio, adattando il disegno del giardino in maniera da farlo apparire più aiutato che regolato dalla mano dell’uomo. Il giardiniere zen non vuole impone la sua intenzione alle forme naturali, ma si preoccupa piuttosto di seguire la “intenzione priva di intenzione” delle forme stesse, anche se questo implica la massima cura e abilità. Di fatto, il giardiniere non cessa mai di potare, tosare, ripulire dalle erbacce, e regolare la crescita delle sue piante; ma compie queste azioni nello spirito di far parte del giardino stesso piuttosto che esserne un agente esterno. Non ostacola la natura perché egli stesso è natura, e coltiva come non stesse coltivando. Così, il giardino è a un tempo estremamente artificiale e straordinariamente naturale.
Tale spirito è manifesto al massimo grado nei grandi giardini di sabbia e rocce di Kyoto, di cui l’esemplare più famoso è il giardino di Ryoanji. Esso consiste di cinque gruppi di rocce disposte su di un rettangolo di sabbia rastrellata, protetto da un basso muro di pietra, e circondato di alberi. Fa pensare a una spiaggia naturale, o anche a una marina con isole rocciose, ma la sua incredibile semplicità evoca una serenità e chiarità di sensi così potente che può cogliersi perfino da una fotografia. L’arte maggiore che contribuisce alla creazione di tali giardini è il bonseki, che può a buon diritto definirsi l’arte di “allevare” le rocce. Esige difficili spedizioni alle spiagge, a montagne e fiumi, alla ricerca di forme di rocce che il vento e l’acqua abbiano modellato in vivi asimmetrici contorni. Queste rocce sono trasportate nel luogo del giardino, e disposte in modo che sembrino cresciute dove si trovano, così da essere riferite allo spazio circostante o all’area della sabbia come le figure sono poste in relazione allo sfondo nelle pitture Sung. Poiché la roccia deve aver l’aria di essere sempre stata nella stessa posizione, bisogna che sembri una cosa antica e muschiosa; e piuttosto che tentare di piantarvi sopra del muschio, viene dapprima situata in un luogo dove il muschio possa crescervi spontaneamente, e poi collocata nella sua posizione definitiva. Le rocce scelte dall’occhio sensibile di un artista bonseki sono classificate fra i più preziosi tesori nazionali del Giappone, ma non vengono toccate, eccetto che per rimuoverle, dalla mano dell’uomo.
Da un importante premessa, le difficoltà per un occidentale di comprendere una dottrina orientale, passando per la storia, il significato, i principi fino alle applicazioni, Alan Watts fornisce un resoconto quanto mai competente e essenziale dello zen, senza tralasciare il tentativo di trasmettere il significato più puro della filosofia animando la trattazione con immensa passione (da un commento su Google Books).
“La via dello zen” è uno dei miei libri preferiti. Il grande filosofo e divulgatore Alan Watts ci guida alla scoperta dello zen, rivelandocene aspetti spesso sorprendenti.
Franco Battiato nella canzone ‘Moto browniano’ (L’ombrello e la macchina da cucire -1995) così cantava: “…Provo sdegno verso alberi e fogliami, foreste onnipossenti. Mi invita una terra spoglia, senza tracce di vita. Uguali l’uragano, e il tenue soffio di vento….., mi tentano paesaggi, senza alcuna idea di movimento…., dove l’immoto echeggia, riposi”.
In effetti, diversa letteratura ha riportato il deserto, tra i luoghi naturali, il più spirituale per ecellenza. E ancora, non è forse il giardino zen la ricostruzione stilizzata di un deserto?
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Franco Battiato nella canzone ‘Moto browniano’ (L’ombrello e la macchina da cucire -1995) così cantava: “…Provo sdegno verso alberi e fogliami, foreste onnipossenti. Mi invita una terra spoglia, senza tracce di vita. Uguali l’uragano, e il tenue soffio di vento….., mi tentano paesaggi, senza alcuna idea di movimento…., dove l’immoto echeggia, riposi”.
In effetti, diversa letteratura ha riportato il deserto, tra i luoghi naturali, il più spirituale per ecellenza. E ancora, non è forse il giardino zen la ricostruzione stilizzata di un deserto?