Perché troppe seghe mentali ci rendono ciechi
Le “seghe mentali” sono una metafora un po’ grezza ma molto efficace, inventata dallo scrittore Giulio Cesare Giacobbe, per indicare quella continua attività mentale che ci caratterizza un po’ tutti e che per lo più si svolge a vuoto, senza portare mai ad alcun risultato. Se per “sega mentale” dobbiamo intendere il pensare a cose che non hanno attinenza con la realtà – considerando che l’unica realtà accertabile è costituita dal nostro corpo e dall’ambiente fisico che lo circonda – allora dobbiamo anche riconoscere che quasi non facciamo altro nella vita.
Non dobbiamo prendercela per questo, perché è normale. Purtroppo, però, a parte i casi di “seghe mentali” benefiche, come ad esempio il pensiero creativo, la maggior parte delle seghe mentali è malefica, cioè ci procura sofferenza. Una sofferenza inutile, come quando ad esempio ci preoccupiamo per qualcosa che potrebbe succedere nel futuro, rovinandoci così il tempo presente. Le origini di questo atteggiamento sono biologiche, perché il nostro cervello, specie nella sua parte più “antica”, è attrezzato per farci reagire istantaneamente di fronte al pericolo. Ma i pericoli reali nel mondo contemporaneo sono ben pochi. E così il pensiero – come reazione a ciò che percepiamo come aggressione dall’esterno – sostituisce le azioni reali con azioni simulate. In pratica, tentiamo di risolvere i nostri problemi pratici senza uscire dall’ambito dell’attività mentale, dunque invano.
Facci caso: se non sei impegnato/a in un compito mentale particolare – tipo leggere, guardare un video o parlare – e riesci ad avere quel minimo di lucidità che ti consente di osservare quello che stai pensando, ti accorgerai che la tue mente è costantemente proiettata nel passato o nel futuro, senza che ciò porti a nulla. In pratica, ti stai facendo una sega mentale. È molto brutto a dirsi, ma rende bene l’idea. Quel tipo di pensiero non ti risolve alcun problema e ti aggiunge disagio al disagio.
La cosa più difficile da ammettere è che la stragrande maggioranza dei nostri pensieri non la controlliamo affatto, perché si produce da sola. Come a dire che le seghe mentali si fanno da sole, sempre mantenendoci ben a distanza dalla realtà. Non ci fanno vedere le cose come sono realmente. In questo senso, ci rendono ciechi. È dura demolire quel mito cartesiano del “penso dunque sono” che ci hanno insegnato a scuola e ci rende così fieri della nostra umanità.
Presenza mentale
Giacobbe ci spiega anche brevemente (è un libro piccino) come non farci le seghe mentali: rivolgere la nostra attenzione a ciò che stiamo facendo, a ciò che ci succede, al mondo che abbiamo intorno. In altre parole, coltivare la presenza mentale, l’unico modo per goderci la vita.
Mantenere la presenza mentale però è molto difficile, perché il nostro cervello tende naturalmente alle “seghe mentali”. Allora è necessario fare silenzio e addestrarlo con continui esercizi di concentrazione, per riportare la mente costantemente a ciò che avviene nel nostro corpo e nella nostra mente. Questa, in altre parole, è la meditazione. L’arte di osservare, osservare senza pretendere di intervenire. Così si vede e si capisce veramente cosa succede, in ogni circostanza della vita.
Ecco spiegata in un modo molto semplice l’essenza del buddhismo. E se il Buddha leggesse “Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita” molto probabilmente non si scandalizzerebbe affatto.
Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita

A questo libro abbiamo dedicato un intero articolo su Zen in the City.
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L’ho letto anni fa e continuo a trovarlo uno dei testi più semplici, diretti, basati su esperienza personale e quindi efficaci tra quelli più divulgativi sulla meditazione e il benessere complessivo. Grazie di averlo citato e ulteriormente spiegato e commentato.