Perché troppo Whatsapp fa male ai ragazzi

Denis Dervisevic, all about smartphonesChe cosa succede se gli adolescenti smettono di parlare tra di loro e alla comunicazione verbale preferiscono lo scambio di messaggi con WhatsApp o Facebook Messenger? È ormai in atto una rivoluzione nella comunicazione umana, che vede prevalere l’interazione con gli schermi su quella diretta tra persone.

Individui di tutte le età stanno sempre più incollati ai propri dispositivi, dimenticando chi hanno accanto. Ma sono soprattutto gli adolescenti che stanno adottando il messaggio digitale come mezzo quasi esclusivo di comunicazione.

Prima c’è stato Facebook, e ora i dati più recenti ci dicono che i ragazzi si stanno disaffezionando al social network, un ambiente sempre più pieno di adulti ficcanaso e fonte di continui inconvenienti, a causa della difficoltà a marcare una netta linea di separazione tra la sfera degli amici più intimi e lo spazio pubblico. Meglio dunque affidarsi a un sistema più riservato come Whatsapp, la app che non pone limiti quantitativi allo scambio di messaggi, da utilizzare in ogni circostanza della vita.

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Secondo un’indagine condotta da Sherry Turkle, una psicologa famosa per i suoi studi sull’interazione tra le persone e le macchine, gli adolescenti preferiscono i sistemi di messaggistica scritta, rispetto alla comunicazione vocale – compreso il telefono – perché quest’ultima li mette in imbarazzo, dal momento che è troppo coinvolgente dal punto di vista emotivo e personale. Inoltre richiede una spontaneità e immediatezza che per loro risulta difficile da gestire.

Un recente articolo pubblicato sul quotidiano britannico The Independent, analizzando il fenomeno delle sempre maggiore difficoltà che tutti abbiamo a concentrarci a lungo su qualcosa – a causa proprio dei media digitali – evidenzia come per i ragazzi, passare più tempo a interagire coi dispositivi e meno con le persone comporti un indebolimento di quell’apprendimento emotivo e sociale che si sviluppa proprio grazie alle interazioni con le altre persone. Più tempo si sottrae ai contatti e alle conversazioni con gli altri umani, meno si rafforzano i circuiti cerebrali che supportano le capacità di comunicare nelle varie sfumature.

Inoltre, le continue distrazioni indotte dai media digitali indeboliscono i circuiti cerebrali della corteccia prefrontale, la parte del cervello che gestisce l’attenzione, controlla le spinte istintive ed è sede dei processi decisionali e dell’etica. Tale parte si sviluppa in età giovanile. Perciò più tempo i ragazzi passano a sostenere un’attenzione concentrata, resistendo alle distrazioni, più si sviluppano e si rafforzano quei circuiti neuronali. Al contrario, più si lasciano distrarre da messaggi in arrivo, notifiche e stimoli di ogni sorta, meno c’è speranza che ciò avvenga.

Vari studi condotti in Nuova Zelanda e negli Stati Uniti hanno dimostrato come sia cruciale per i bambini di età scolare “allenare” la parte del cervello che presiede l’attenzione ai fini di funzioni come il controllo cognitivo, la capacità di seguire le lezioni e quella di portare a termine i compiti assegnati.

Dunque qualcosa si può fare, per compensare l’impoverimento cerebrale indotto da un uso estensivo dei media digitali: esercitare l’attenzione sostenuta, proprio per sviluppare quella parte del cervello che è alla base di molte altre funzioni essenziali, anche dal punto di vista emotivo.

Lo ha messo in evidenza, prima di tutti, lo scrittore e psicologo Daniel Goleman – famoso per il suo saggio “L’intelligenza emotiva” – dimostrando l’importanza degli esercizi di concentrazione, che altro non sono che meditazioni su oggetti specifici.

Dunque cosa possiamo fare per i nostri bambini e ragazzi?

  1. Innanzi tutto, interagire con loro il più possibile a voce, specie in presenza fisica e soprattutto nell’età dello sviluppo, per aiutarli a sviluppare in modo completo il proprio cervello.
  2. Poi educarli a porre dei limiti all’uso dei dispositivi digitali, in base all’età, all’orario, alle circostanze, alla compagnia, eccetera.
  3. Infine insegnare loro degli esercizi di concentrazione, a cominciare dal semplice portare l’attenzione per qualche minuto al respiro: aria che entra, aria che esce, e nient’altro. Oppure passare in rassegna le varie parti del corpo (“body scan”) con gli occhi chiusi, per qualche minuto, senza pensare ad altro.

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[La foto è di Denis Dervisevic, Skövde, Svezia]

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Paolo Subioli

Insegno meditazione e tramite il mio blog Zen in the City propongo un’interpretazione originale delle pratiche di consapevolezza legata agli stili di vita contemporanei.

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