
Le quattro Nobili Verità, viste da Chandra Livia Candiani, ci riportano, da un lato, alla dimensione inevitabile della sofferenza. Dall’altro, ci mostrano la strada per la fine della sofferenza stessa.
La visione del Buddha nasce da una prima Nobile Verità, una Verità che non è in vendita, ma va conquistata con lealtà di sforzo e ampiezza di orizzonte, compresa con intenzione altruistica di condivisione, una Verità che non dà alcun guadagno mondano: c’è la sofferenza.
Un’evidenza nascosta dall’ovvietà. Certo che lo sappiamo che c’è la sofferenza. Ma dove lo sappiamo? Nel pensiero, nella mente che non permette il cambiamento, la rivoluzione interiore. Se davvero sapessimo che la sofferenza c’è, lo sapremmo con il corpo, lo sapremmo con il cuore, e sapremmo anche che va sentita, che affidabile è solo un metodo che insegna a sentire e che non ci sono vie di fuga né scorciatoie. Imparare a soffrire, a sentire la sofferenza nel corpo, nel cuore e a riflettere in profondità è la soluzione della sofferenza, il suo dissolvimento. Solo se sento la sofferenza, posso sentire anche la gioia e tutte le sfumature dell’essere viva. Se scappo dalle sensazioni scomode, mi sfuggiranno anche le altre sfumature dell’essere al mondo, comprese le più liete e festose.
E c’è una seconda Nobile Verità: c’è una causa della sofferenza ed è la brama, la sete che crea l’attaccamento al piacevole e la fuga dallo spiacevole, in qualunque forma si presentino, fisica, psicologica, spirituale; perché anche il piacere sottile, la sensazione di non essere che si può sperimentare in meditazione, crea brama e illusione.
La terza Nobile Verità dice che la fine della sofferenza esiste e consiste nel lasciar andare la sua causa, è la rinuncia alla brama. Il Buddha diceva: insegno una cosa sola, la sofferenza e la fine della sofferenza. Beh, grammaticalmente sarebbero due. . . Ma se so che la sofferenza c’è, se mi addestro a sentirla, se vedo in profondità la sua causa, la fine della sofferenza arriva da sé.
E la Quarta Nobile Verità è il metodo: praticare in ogni aspetto della nostra vita, fare della nostra vita il nostro libro di testo, il nostro laboratorio. L’insegnamento non è una cosa esterna, è il mio stesso vivere, illuminato dall’insegnamento, una luce forte, se resisto sembra spietata, se abituo lo sguardo, vedo il disincanto e non posso più illudermi, cambio rotta senza rimpianto, senza sacrificio: ho visto.
Diceva Buddhadhasa, Maestro thailandese: «La sofferenza è un rospo, ma ha in testa uno splendido diamante: solo nella sofferenza si può sperimentare la fine della sofferenza».
Da: Chandra Livia Candiani, “Il silenzio è cosa viva. L’arte della meditazione“, Einaudi, 2018.
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Il silenzio è cosa viva. L’arte della meditazione

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