
In sintesi – In questo incontro del Sangha di Zen in the City abbiamo proseguito sul filone iniziato sul tema dell’interdipendenza, per analizzarne un altro risvolto: le aspettativa che ci creiamo rispetto a come la realtà dovrebbe essere. Aspettative che regolarmente vengono deluse, proprio perché la realtà, a causa dell’interdipendenza, sfugge sia alla nostra capacità di controllo, sia di previsione. Nonostante ciò, pensiamo sempre che la vita – così come gli altri – ci debba qualcosa e non riusciamo ad aprirci alla meraviglia di una realtà sempre mutevole e sorprendente.
Letture di riferimento
1
Charlotte Joko Beck – Abbandonare le aspettative
2
Charlotte Joko-Beck – Superare le delusioni non serve, meglio lavorarci sopra
Esercizio: aspettativa e realtà
- Prima di iniziare la meditazione vera e propria, raccogliamoci per un minuto e proviamo a immaginarci come andrà la meditazione che seguirà. Se ad esempio riusciremo ad essere concentrati per tutto il tempo i ci distrarremo, se rimarremo calmi o saremo agitati, eccetera.
- Poi meditiamo per 5 minuti. Possiamo usare il Timer per la meditazione di Zen in the City. Cercheremo di concentrarci solo sul respiro e sulle sensazioni del corpo.
- Valutiamo quanto la realtà della pratica effettiva si è avvicinata alle aspettative che avevamo.
Esercizio: che cos’è questo?
La meditazione consiste nel porsi continuamente la domanda “Cos’è questo?”. Mentre mi trovo seduto in meditazione, sono posto di fronte a una serie di fenomeni, come il respiro, la posizione del corpo, i suoni, gli odori, eccetera. Nei confronti di ciascuno di questi fenomeni, invece di annotare mentalmente “ah, ecco il respiro”, “ecco il suono di un’auto che passa”, ecc., mi chiedo ogni volta “Cos’è questo?”. E lo faccio senza in realtà cercare la risposta.
Quando in meditazione ci chiediamo “Cos’è questo?”, non ci riferiamo agli oggetti o ai fenomeni esterni, ma torniamo in noi, in modo da essere un tutt’uno con la domanda. Perché è una domanda che rimane sempre tale, non richiede una risposta. Piano piano diventa un atteggiamento. Un atteggiamento che riguarda sia i piccoli fenomeni vicini, come il respiro, sia le grandi questioni di fondo.
“La parte più importante della domanda è il punto interrogativo”, dice Martine Batchelor. “Non volendo cercare una risposta, cerco di sviluppare un sentimento di apertura, di meraviglia. Appena formulo la domanda, mi sto aprendo all’intero momento. Lascio andare ogni bisogno di conoscenza e di sicurezza. Non c’è alcun luogo per riposare. Il corpo e la mente diventano una domanda”.
Questa pratica appartiene alla tradizione sŏn, lo zen coreano.
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