
La sonnolenza nella meditazione è annoverata, bel Buddhismo, tra i “5 impedimenti”, ovvero i 5 principali fattori che ostacolano la concentrazione. Joseph Goldstein spiega come ha affrontato questo problema.
Quando la mente è contratta sotto l’influsso dell’indolenza e del torpore, la gioia e il piacere scarseggiano, sia nella pratica sia nella vita. Ci tiriamo indietro o ci tratteniamo continuamente. Praticare la consapevolezza dei dhamma in relazione a questo impedimento è un modo efficace per sottrarre la mente alla sua influenza. Il primo passo è notare semplicemente quando l’indolenza e il torpore sono presenti e quando sono assenti, e capire bene la differenza. Farci un quadro molto preciso della nostra mente.
Dopo esserci familiarizzati con la presenza o assenza di questi stati, osserviamo le condizioni in base a cui sorgono. Stranamente secondo i testi la prima condizione riguarda il fattore della saggezza, e cioè: prestare un’attenzione superficiale o non saggia a stati mentali come la scontentezza, la noia, la pigrizia e la sonnolenza.
Ci sono, bhikkhu, scontentezza, letargia, stiracchiarsi pigramente, sonnolenza dopo i pasti, fiacchezza mentale: prestare ripetutamente un’attenzione superficiale a queste cose alimenta il sorgere di indolenza e di torpore, non ancora sorti, e la crescita e l’espansione di indolenza e di torpore, già sorti.
Attenzione superficiale o non saggia significa, ad esempio, credere che non vi sia alcun danno in questi stati o assecondare i pensieri che li alimentano, come: “Sono veramente stanco”, oppure “Che noia”. Così come sono in grado di innescare le emozioni del desiderio e della rabbia, i pensieri possono condizionare il sorgere dell’indolenza e del torpore. A volte ci abbandoniamo senza saperlo all’attenzione superficiale perché l’indolenza e il torpore si mascherano da compassione per noi stessi. Siamo stanchi, annoiati o irrequieti, ed essi arrivano premurosi e ci sussurrano all’orecchio: “Se mi sforzo troppo potrei sentirmi male. Devo prendermi cura di me. Ci vorrebbe proprio un sonnellino”. Naturalmente, a volte abbiamo bisogno di riposo, ma spesso non è così: è solo la manifestazione dell’atteggiamento imbelle tipico di questo impedimento.
Nei primi anni partecipavo spesso a ritiri dove ci si alzava alle quattro del mattino e si meditava un paio d’ore prima di colazione. Io cercavo di arrivare presto in sala per assicurarmi un posto in fondo contro la parete. Cominciavo la seduta, ma dopo poco tempo mi appoggiavo al muro e mi addormentavo. Andai avanti così per qualche giorno. Finché pensai: “Ridicolo. Così perdo solo tempo. Farei meglio a starmene a letto fino all’ora di colazione, almeno sarei sveglio durante il giorno”. Anche se era un pensiero insistente non cedetti, e continuai ad andare in sala per la prima seduta del mattino. Con mia sorpresa, dopo quattro o cinque giorni di sonnecchiamento arrivò il giorno in cui mi misi a sedere e rimasi sveglio e vigile per tutto il tempo !
Fu una lezione importante. Anche quando crediamo che nella nostra pratica non stia succedendo granché e che non facciamo altro che dormire, alla fine, se non ci diamo per vinti, l’intenzione e l’energia della perseveranza daranno frutti.
Da: Joseph Goldstein, “Mindfulness. Una guida pratica al risveglio“, Astrolabio Ubaldini, 2016.
Mindfulness. Una guida pratica al risveglio

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