
Meditare non è ripetere la parola, o sperimentare una visione, o coltivare il silenzio. Il rosario e la parola placano, è vero, il chiacchierio della mente, ma questa è una forma di autoipnosi. All’uopo andrebbe bene anche una pillola.
Meditare non è chiudersi in un pensiero ideale, nell’incanto del piacere. La meditazione non ha principio e perciò non ha fine.
Se tu dici: “Oggi comincerò a controllare i pensieri, a sedere quieto nella posizione del meditare, a respirare regolarmente” – allora sei preso nei trucchi con cui inganniamo noi stessi. La meditazione non è l’essere assorti in qualche idea o immagine grandiosa: questa acquieta per il momento, come un bimbo tutto preso da un giocattolo è momentaneamente tranquillo. Ma, appena il giocattolo cessa di interessarlo, ricominciano i capricci. La meditazione non è la ricerca di un invisibile sentiero che porti a una qualche immaginata beatitudine. La mente meditativa è vedere – osservare, ascoltare, senza la parola, senza commento, senza opinione – tutto il giorno attentamente il movimento della vita in ogni suo rapporto. E la notte, quando l’organismo riposa, la mente meditativa non fa sogni, perché è stata sveglia tutto il giorno. Soltanto gli indolenti fanno dei sogni; soltanto i sonnolenti hanno bisogno del preannuncio delle loro situazioni.. Ma alla mente che osserva, ascolta il movimento della vita, sia quello esteriore sia quello interiore, viene un silenzio che non è montato su dal pensiero.
Non è un silenzio che l’osservatore possa sperimentare. Se ne fa esperienza e lo riconosce, non è più silenzio. Il silenzio della mente meditativa non sta entro i confini dell’individuabilità, perché questo silenzio non ha frontiere. C’è solo il silenzio, nel quale lo spazio della divisione cessa.
Da: Jiddu Krishnamurti, “La sola rivoluzione“, Astrolabio Ubaldini, 1978.
La sola rivoluzione

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